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La memoria ha le gambe: al cuore del perdono cristiano

Tutti siamo a conoscenza dell'evento storico che segnò negli anni settanta il nostro Paese, come tanti in quegli anni, l'omicidio del Commissario Calabresi.Il 17 maggio 1972, a Milano, in un agguato sotto casa, viene ucciso il commissario di polizia Luigi Calabresi. Da anni era vittima di una violenta campagna d’odio orchestrata dal movimento extraparlamentare di estrema sinistra Lotta Continua. Lo si accusava di essere il responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, indagato per la strage di piazza Fontana e precipitato, innocente, da una finestra della questura di Milano. Per sedici anni l’omicidio Calabresi è rimasto senza colpevoli. Finché, nel luglio del 1988, un ex militante di Lotta Continua, Leonardo Marino, ha iniziato a confessare, autoaccusandosi dell’omicidio e facendo i nomi di tre complici: Ovidio Bompressi, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri, tutti ex appartenenti a Lotta Continua. Dopo un iter giudiziario durato sedici anni, i quattro vengono condannati con formula definitiva. Ancora oggi, tuttavia, la confessione di Marino non ha smesso di destare perplessità. E il puzzle dell’omicidio Calabresi di rivelare tessere mancanti.

Un dramma insomma, una pagina cupa della storia del '900 italiano.
Mario Calabresi, il noto giornalista, ha fatto un aintervista alla mamma Gemma in occasione del 49esimo anniversario dalla morte del padre Luigi, avvenuta proprio il 17 maggio 1972.

Ed è grazie al cammino, un cammino di Fede, mai statico, in cui il ricordo proprio nel suo significato originario “ripassare per il cuore” resta il soggetto fondamentale, che Gemma racconta al figlio come è riuscita a perdonare gli assassini del marito. Perché non si può perdonare con la mente, dice, ma si perdona soltanto con il cuore.

Davvero una splendida conversazione: “La memoria ha le gambe” è il titolo del podcast di Chora Media firmato da Mario Calabresi che racchiude un dialogo con sua madre Gemma Capra. Trentaquattro minuti che corrono veloci ma non lasciano indifferenti. La moglie del commissario Luigi Calabresi, giovane mamma rimasta vedova con due figli piccoli e un terzo in arrivo, stava raccontando la sua storia e i suoi
ricordi quando è giunta la notizia dell’arresto in Francia dei terroristi condannati per fatti di sangue in Italia tra i quali anche Giorgio Pietrostefani, condannato definitivamente insieme ad altri due complici dopo il processo più lungo della storia italiana. La notizia dell’arresto dell’ultima persona condannata per l’omicidio del commissario Calabresi, assassinato sotto casa il 17 maggio 1972, ha fatto in modo che le parole di Gemma e di suo figlio diventassero rilevanti per la cronaca. Qualcuno è rimasto sorpreso che non vi sia stata esultanza nei commenti della vedova del commissario, e in quelli di suo figlio che la intervistava. È stata fatta giustizia, la sentenza definitiva potrà ora con l’estradizione, essere attuata, ma c’è poco da esultare, ha detto Mario Calabresi, quando un uomo anziano e malato finisce dietro le sbarre.

Questo podcast è un miracolo, si perchè di “miracolo” bisogna parlare, perché è un miracolo se una giovane donna a cui è stato assassinato il marito riesce a perdonare. È un miracolo se nelle sue parole non appare neanche un briciolo di risentimento, pur nel dramma ancora presente nel suo ricordo, nella sua carne, nella sua vita. Gemma racconta di come la possibilità di perdonare sia passata attraverso la conversione del cuore, anche se tutto era già presente fin dal primo momento, fin dalla scelta della frase da mettere nel necrologio pubblicato quel maggio del 1972, quando su suggerimento della madre, la giovane vedova decise di riprodurre le parole di Gesù sulla croce: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.

È commovente ascoltare, nel podcast, come Gemma - insegnante di religione nella scuola elementare - sia stata poco a poco messa in discussione nel suo atteggiamento da ciò che cercava di trasmettere in classe ai suoi bambini. Gesù nel Vangelo perdona, e lei si è sentita interrogata da questo perché non aveva ancora perdonato gli assassini del marito. Così, poco a poco, nella preghiera di ogni giorno, le parole di Gesù usate per il necrologio sono sgorgate anche dal suo cuore. Le ha lette diversamente: ha osservato che Gesù, uomo sulla croce, non perdona direttamente i suoi uccisori, perché "come uomo si rendeva conto che noi uomini nel momento dell'abbandono, del tradimento, della solitudine, della calunnia, del dolore fisico, del dolore morale, non saremmo mai riusciti a perdonare, e quindi chiede al Padre di farlo Lui al posto nostro lasciando a noi il tempo del cammino. A quel punto mi sono sentita come liberata, leggera. Ho pensato: Lui lo ha già fatto per me, al posto mio, perché questo è l'esempio che ci ha dato Gesù. E quindi io adesso ho il tempo del cammino e non sarò sola a farlo".

Ma c’è un'altra perla preziosa che vale la pena scoprire nel podcast e sono le parole con le quali la madre di Mario Calabresi parla del bene presente negli uccisori di suo marito. È una caratteristica che emerge in tante pagine del Vangelo: Gesù guardava le persone che incontrava senza “inchiodarle” alla croce del loro peccato, del male compiuto. Non le guardava secondo il male commesso ma secondo il bene che avevano compiuto e soprattutto quello che potevano ancora compiere. C’era e c’è nei Suoi occhi uno sguardo di misericordia inguaribilmente positivo, grazie a Dio. Uno sguardo che ci permette di sperare sempre di essere accolti e perdonati, perché, agli occhi di Dio, nessuno di noi sarà mai definito soltanto dal male compiuto.

Un podcast da ascoltare, commovente e assai peno di speranza. Fa tanto bene al cuore.

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