Questo articolo nasce da un mio studio di carattere accademico sull’impatto della denatalità sul sistema scolastico italiano, con particolare attenzione ai dati recenti e al ruolo dei flussi migratori.
Negli ultimi dieci anni l’Italia ha perso oltre 700.000 studenti nelle scuole dell’obbligo. Secondo i dati MIUR, tra il 2013 e il 2023 si è passati da circa 7,8 milioni di iscritti a poco più di 7 milioni, con una proiezione in ulteriore calo: si stima che entro il 2032 saranno 1,4 milioni in meno. Questo calo ha già comportato la chiusura o accorpamento di circa 2.500 plessi scolastici in tutto il Paese.
L’immigrazione è oggi l’unico fattore che in parte attenua gli effetti della denatalità. Attualmente, circa il 10,6% degli studenti nelle scuole italiane ha cittadinanza non italiana, con punte superiori al 20% in alcune grandi città. Senza di loro, il crollo numerico sarebbe stato ancora più drastico. Tuttavia, i flussi migratori recenti non compensano pienamente il calo delle nascite italiane, anche perché molte famiglie straniere adottano rapidamente gli stessi modelli demografici autoctoni.
Il calo delle iscrizioni scolastiche non è solo una questione numerica: rappresenta una trasformazione profonda nel tessuto sociale del Paese. La scuola perde la sua funzione di centro di aggregazione, soprattutto nei piccoli comuni, accentuando isolamento e spopolamento. Inoltre, emerge una frattura generazionale: le politiche pubbliche restano spesso orientate verso le fasce anziane della popolazione, mentre l’istruzione – pilastro di ogni futuro – subisce tagli strutturali.
L’Italia si trova davanti a un bivio. Continuare a ignorare il legame tra demografia e scuola porterà a un sistema educativo sempre più ridimensionato e diseguale. Serve invece una politica che tenga insieme natalità, integrazione e valorizzazione della scuola come bene comune. Non si tratta solo di numeri, ma del futuro sociale e culturale del Paese.
Negli ultimi dieci anni l’Italia ha perso oltre 700.000 studenti nelle scuole dell’obbligo. Secondo i dati MIUR, tra il 2013 e il 2023 si è passati da circa 7,8 milioni di iscritti a poco più di 7 milioni, con una proiezione in ulteriore calo: si stima che entro il 2032 saranno 1,4 milioni in meno. Questo calo ha già comportato la chiusura o accorpamento di circa 2.500 plessi scolastici in tutto il Paese.
Il fenomeno non è omogeneo. Le regioni del Sud sono le più colpite: la Campania ha perso il 14,6% degli studenti dal 2013 al 2023, seguita da Calabria e Molise, dove interi paesi sono ormai privi di scuole primarie. Il Nord resiste meglio grazie alla maggiore presenza di studenti figli di immigrati, ma anche qui i segnali sono chiari: in Lombardia, ad esempio, il tasso di iscrizione nella scuola dell’infanzia è calato del 6,3% in dieci anni.
L’immigrazione è oggi l’unico fattore che in parte attenua gli effetti della denatalità. Attualmente, circa il 10,6% degli studenti nelle scuole italiane ha cittadinanza non italiana, con punte superiori al 20% in alcune grandi città. Senza di loro, il crollo numerico sarebbe stato ancora più drastico. Tuttavia, i flussi migratori recenti non compensano pienamente il calo delle nascite italiane, anche perché molte famiglie straniere adottano rapidamente gli stessi modelli demografici autoctoni.
Il calo delle iscrizioni scolastiche non è solo una questione numerica: rappresenta una trasformazione profonda nel tessuto sociale del Paese. La scuola perde la sua funzione di centro di aggregazione, soprattutto nei piccoli comuni, accentuando isolamento e spopolamento. Inoltre, emerge una frattura generazionale: le politiche pubbliche restano spesso orientate verso le fasce anziane della popolazione, mentre l’istruzione – pilastro di ogni futuro – subisce tagli strutturali.
L’Italia si trova davanti a un bivio. Continuare a ignorare il legame tra demografia e scuola porterà a un sistema educativo sempre più ridimensionato e diseguale. Serve invece una politica che tenga insieme natalità, integrazione e valorizzazione della scuola come bene comune. Non si tratta solo di numeri, ma del futuro sociale e culturale del Paese.
Commenti
Posta un commento