L’ingiustizia esiste. È nuda, cruda, spesso incomprensibile. Entra nelle case, nei rapporti, nelle famiglie, e lascia ferite che non sempre trovano parole.
La fede cristiana non nega questa realtà, non la addolcisce, non la giustifica. Al contrario, la guarda in faccia: Nostro Signore stesso ha vissuto l’ingiustizia fino in fondo, senza protezioni, senza meriti, senza colpe.
Esiste però un’ingiustizia particolare, più silenziosa di altre, che non colpisce il corpo ma il nome. È quella che nasce da parole usate non per cercare la verità, ma per difendersi dalla propria fragilità. Accuse che non trovano riscontro nella realtà, insinuazioni che confondono, narrazioni costruite per reggere un peso interiore che non si riesce ad affrontare.
Il cristianesimo è chiaro su questo punto: la calunnia non è una via cristiana. Non lo è perché non libera, non guarisce, non ristabilisce alcuna giustizia. È una deviazione del dolore, una fuga dalla responsabilità di guardare la propria vita così com’è.
Ci sono momenti in cui la parola smette di essere strumento di comunicazione e diventa mezzo di pressione. Accuse reiterate, allusioni, minacce appena pronunciate: non sono segni di forza, ma di smarrimento.
Il ricatto, in qualunque forma si presenti, è l’espressione di chi non sa più a cosa aggrapparsi. È il gesto di chi, non trovando una via d’uscita, si agita in modo inconsulto, tentando di controllare ciò che non riesce a comprendere.
Quando l’astio non viene riconosciuto, finisce per sedimentarsi. E si trasforma lentamente in rancore. Un rancore che indurisce lo sguardo, altera il giudizio, rende incapaci di distinguere tra realtà e paura.
Spesso accade quando una persona non accetta la propria vita: le sue fratture, i suoi limiti, le sue responsabilità. Da questa non-accettazione nasce un bisogno continuo di colpevoli, di nemici, di bersagli. Così il dolore non viene attraversato, ma proiettato.
La via cristiana non consiste nel negare il male subito, né nel fingere che l’ingiustizia non ferisca. Consiste nel non permetterle di determinare ciò che diventiamo.
Cristo era vittima: non ha risposto con la calunnia, né con la vendetta. Ha attraversato l’ingiustizia senza farsene complice, senza farsene eco. È una scelta silenziosa ed esigente, profondamente umana: restare nella verità, anche quando costa. Restare integri, anche quando si è messi in discussione.
La fede cristiana non nega questa realtà, non la addolcisce, non la giustifica. Al contrario, la guarda in faccia: Nostro Signore stesso ha vissuto l’ingiustizia fino in fondo, senza protezioni, senza meriti, senza colpe.
Esiste però un’ingiustizia particolare, più silenziosa di altre, che non colpisce il corpo ma il nome. È quella che nasce da parole usate non per cercare la verità, ma per difendersi dalla propria fragilità. Accuse che non trovano riscontro nella realtà, insinuazioni che confondono, narrazioni costruite per reggere un peso interiore che non si riesce ad affrontare.
Il cristianesimo è chiaro su questo punto: la calunnia non è una via cristiana. Non lo è perché non libera, non guarisce, non ristabilisce alcuna giustizia. È una deviazione del dolore, una fuga dalla responsabilità di guardare la propria vita così com’è.
Ci sono momenti in cui la parola smette di essere strumento di comunicazione e diventa mezzo di pressione. Accuse reiterate, allusioni, minacce appena pronunciate: non sono segni di forza, ma di smarrimento.
Il ricatto, in qualunque forma si presenti, è l’espressione di chi non sa più a cosa aggrapparsi. È il gesto di chi, non trovando una via d’uscita, si agita in modo inconsulto, tentando di controllare ciò che non riesce a comprendere.
Quando l’astio non viene riconosciuto, finisce per sedimentarsi. E si trasforma lentamente in rancore. Un rancore che indurisce lo sguardo, altera il giudizio, rende incapaci di distinguere tra realtà e paura.
Spesso accade quando una persona non accetta la propria vita: le sue fratture, i suoi limiti, le sue responsabilità. Da questa non-accettazione nasce un bisogno continuo di colpevoli, di nemici, di bersagli. Così il dolore non viene attraversato, ma proiettato.
La via cristiana non consiste nel negare il male subito, né nel fingere che l’ingiustizia non ferisca. Consiste nel non permetterle di determinare ciò che diventiamo.
Cristo era vittima: non ha risposto con la calunnia, né con la vendetta. Ha attraversato l’ingiustizia senza farsene complice, senza farsene eco. È una scelta silenziosa ed esigente, profondamente umana: restare nella verità, anche quando costa. Restare integri, anche quando si è messi in discussione.

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