Quando dico sessualità penso all’uomo e alla donna, il maschile e il femminile.
Viene tanto attaccata la Chiesa perché rigetta l’omosessualità, ma lo fa semplicemente perché non si tratta di vera sessualità. Dire omosessualità è come dire “cerchio quadrato” (R.Casadei): se i due hanno lo stesso sesso, viene meno l’ordinazione reciproca dei due sessi.
Se la sessualità non è aperta alla fecondità, di cosa si sta parlando? Se si prende in mano un qualunque manuale di zoologia, si scopre che la sessualità è legata alla questione della fecondità, della procreazione. E questo è importante anche per coloro che vengono definiti omosessuali, chiamati a prendere coscienza che il loro desiderio non è propriamente sessuale. Essi in realtà fanno un uso non sessuale delle loro parti sessuali. Non sono necessariamente atti sessuali tutti gli atti che io posso fare con le mie parti sessuali.
Certo è che un tempo l’omosessualità veniva considerata una deviazione innata, dovuta a qualche fattore biologico, quindi congenita e cioè incurabile. Pertanto veniva vissuta dagli interessati con un profondo senso di frustrazione, in quanto condizione priva di speranza. A tutto ciò andava a sommarsi poi la più o meno esplicita condanna da parte della società, o quanto meno una generalizzata mancanza di comprensione.
Poi, col tempo, le cose hanno cominciato a cambiare. Con il processo di liberalizzazione del sesso – prima considerato un tabù - e l’affermarsi di ideologie sempre più fondate sulla mancanza di certezze, si è progressivamente dato sempre più spazio e autorevolezza a interpretazioni personali e soggettive. Mandato in crisi il paradigma dell’esistenza di una natura umana, si è cominciato a guardare alle sue varianti – almeno, ad alcune di esse - non più in termini di patologie, ma di stati alternativi ugualmente validi. A questo va aggiunta il sempre più convinto rifiuto di ogni sorta di discriminazione. Si è giunti così ad un ribaltamento culturale pressoché radicale, per cui oggi si guarda all’omosessualità e alla sua accettazione in modo molto più sereno, se non addirittura come a un fatto naturale.
Tuttavia, in questo nuovo modo di vedere le cose, apparentemente logico e coerente, insieme ad aspetti senz’altro positivi, si nascondono degli errori che possono portare ad una grande confusione di fondo.
Bisogna mettere in luce quello che è un primo errore di fondo molto diffuso: cioè il considerare la tendenza omosessuale come una “condizione” congenita, e quindi incurabile, contrariamente a quanto gli studi scientifici, invece, evidenziano.
Molti di noi inoltre penso sappia che c’è differenza tra la tendenza omosessuale e il comportamento omosessuale. La prima è un impulso, un’inclinazione spontanea più o meno forte, generalmente indipendente dalla volontà del soggetto e che pertanto non implica il più delle volte una diretta responsabilità personale; invece il secondo presuppone il consenso della volontà, atto ad assecondare fattivamente l’impulso stesso. E’ chiaro che in questo caso, essendo chiamata in campo la volontà, al soggetto spetti la piena responsabilità del proprio comportamento.
Anche su questo punto, purtroppo, c’è confusione nella mentalità corrente, portata invece ad identificare tout court la tendenza con il comportamento omosessuale; nel senso che chiunque “senta” la prima, “viva” ineluttabilmente il secondo, visto anzi come l’unica risposta coerente con la propria condizione. E non è così.
C’è infatti una categoria di omosessuali che uno psicologo definisce omosessuali non-gay, cioè persone omosessuali ma che non condividono lo stile di vita dei gay, nel senso che, invece di praticare la loro tendenza – come fanno appunto i gay - cercano di superarla. Sono persone che, invece di impegnarsi in una lotta aperta contro la società per il riconoscimento di uno stile di vita in accordo con la loro tendenza, portano avanti in silenzio una lotta sofferta contro la tendenza stessa, percepita come un ostacolo alla propria realizzazione integrale.
Però, ora che la società, come si diceva, sta ribaltando il suo atteggiamento in merito al problema, arrivando a considerare l’omosessualità come una condizione normale al pari dell’eterosessualità, lo sforzo portato avanti da queste persone appare come un non-senso.
Inoltre, se è vero, come gli studi dimostrano, che l’origine dell’omosessualità risiede sostanzialmente in fattori psicologici, è facile prevedere che questa condizione sia destinata ad aumentare continuamente sotto il nuovo influsso culturale della società attuale.
Alle categorie di omosessuali veri, si deve aggiungere poi quella di chi, pur non avendo alcuna tendenza omosessuale, tuttavia si comporta da tale per scelta personale, considerandola un’opzione come un’altra, sotto la forte spinta della mentalità edonistica attuale.
”Al proposito va ricordato che il piacere corporeo non ha in sé stesso la possibilità di un’autoregolazione, che compete invece alla sfera razionale (v. L’essere umano). Pertanto, una volta abdicato ad essa, il piacere perseguito come fine a sé stesso schiavizza il soggetto, portandolo a ricercarne sempre di più; non è allora un caso, purtroppo, se spesso alle pratiche ad esso finalizzate, e nelle quali l’altro venga usato solo come un oggetto, si possa poi accompagnare anche ogni sorta di violenza.
Ora, alle pratiche omosessuali, di piacere se ne accompagna indubbiamente molto.
Ma, nonostante l’auto-denominazione di “gay”, che significa gioioso, la vera gioia del cuore è tutta un’altra cosa! A parte il fatto che, trattandosi di qualcosa di molto intimo, chi la sperimenta sul serio non sente il bisogno di proclamarla a parole, qui si vive invece, a causa della condizione distonica, uno stato di sofferenza molto profonda, assimilabile alle nevrosi, non suscettibile di essere lenita da nessun ribaltamento della mentalità corrente. Non è infatti negando il problema che si può aiutare a risolverlo”.(Leda Fiorillo).
Pertanto, è proprio per il grande rispetto che si deve sempre alla persona, in quanto tale, che non è ammissibile equivocare in ambiti di così vitale e delicata importanza, in cui viene messa in gioco la dignità e la felicità della persona stessa.
Offrire, con garbo e riverenza, ma pur sempre nel pieno rispetto della libertà individuale, un aiuto qualificato per il recupero dell’integrità personale – più possibile laddove la tendenza non sia stata troppo fissata dal comportamento – è la più alta manifestazione d’amore verso chi si trova a vivere una condizione tanto difficile.
IL PROBLMA DA UN PIANO PURAMENTE BIOLOGICO:
”Si è già visto a suo tempo che la determinazione del sesso dipende dai cromosomi X e Y, nel senso che la presenza di due cromosomi X determina il sesso femminile, mentre la presenza di una X e una Y determina quello maschile. Da questo corredo cromosomico dipendono direttamente quelli che vengono detti caratteri sessuali primari, cioè gli apparati genitali maschili o femminili, interni – tra cui le gonadi: testicoli o ovaie – ed esterni. Indirettamente dipendono inoltre i cosiddetti caratteri sessuali secondari, perché indotti dagli ormoni sessuali che a loro volta sono secreti dalle gonadi, a partire dalla pubertà. Ora, come pure si è già visto, i cromosomi del sesso sono presenti in tutte le cellule del corpo; ma poiché la parte corporea e quella psicologica sono intrinsecamente unite, ne deriva che il sesso è iscritto anche nella psiche.
Normalmente questi tre livelli del sesso, due fisici – cromosomico e ormonale – e uno psichico, sono sintonici e quindi armonici. Se invece si presenta una distonia, è ovvio supporre che tre siano le possibili cause a monte: o un fattore cromosomico anomalo, o una disfunzione ormonale o una turba psichica.
Cominciamo dall’analisi dei possibili fattori fisici.
Esistono anomalie cromosomiche sessuali - le uniche congenite e pertanto incurabili - nel senso di corredi cromosomici del tipo XXX o X per la femmina, XXY o XYY per il maschio; tutte anomalie che danno luogo a sindromi, cioè a complessi di patologie varie, ma i cui portatori non presentano tendenze omosessuali. Viceversa, persone con chiare tendenze omosessuali possiedono il normale corredo cromosomico maschile o femminile. Gli studi effettuati in questo campo portano quindi ad escludere un’origine cromosomica e quindi genetica, cioè congenita, dell’omosessualità, contrariamente a quanto diffusamente si crede. Il massimo che alcuni studiosi arrivano a ipotizzare è che il fattore genetico potrebbe in qualche modo agire unicamente come elemento predisponente, ma di per sé del tutto insufficiente a produrre la tendenza omosessuale.
L’altro fattore fisico dovrebbe essere uno squilibrio ormonale sessuale; questo non sarebbe comunque un elemento congenito ma funzionale, pertanto curabile con adeguati trattamenti ormonali. Ma anche qui gli studi dimostrano che persone omosessuali hanno un normale equilibrio ormonale e viceversa, soggetti che presentano alterazioni dell’equilibrio ormonale sessuale non dimostrano affatto di avere tendenze omosessuali.
Pertanto risultano scientificamente da escludersi, come determinanti, entrambi i fattori fisici. Non rimangono in gioco, quindi, che i fattori psichici: fattori acquisiti e curabili con la psicoterapia. Mettiamoli a fuoco.
Si è visto, a suo tempo, come il genitore dello stesso sesso sia indispensabile per il processo dell’”identificazione sessuale” del figlio. Ora, tale processo si compie in modo assai più lineare nelle femmine che non nei maschi.
Al proposito gli psicologi insegnano che all’inizio della sua vita, nella fase di lattante, il bambino, sia esso maschio o femmina, non percepisce la madre come “altri da sé”: mamma e figlio vivono infatti una fase di simbiosi, in cui il piccolo non si rende conto di dove finisce lui e dove cominci la madre, essendo per lui, i due, una cosa sola. Ed in questa fase è giusto che sia così.
Ma se questa condizione dovesse perdurare oltre misura nel tempo, diventerebbe patologica per il figlio. Sarà allora la figura paterna che, interponendosi dolcemente fra mamma e bambino una volta cessato il periodo dell’allattamento, aiuterà il piccolo, staccato dalla simbiosi materna, a prendere coscienza di sé come persona diversa e distinta dalla madre; ad acquisire cioè quella che viene definita l’“autocoscienza” – emerge così anche un nuovo ruolo insostituibile della figura paterna, dopo quello già svolto all’inizio -.
Ma non basta: occorre innescare ora il processo di identificazione sessuale. Durante tutto l’allattamento entrambi, sia il maschietto che la femminuccia, erano stati naturalmente rivolti verso la madre, fonte di vita per loro. Ora, se il bimbo è femmina, il suo modello per l’acquisizione della sua identità sessuale continuerà ad essere comunque la madre; ma se è maschio, per prendere a modello il padre, il bimbo dovrà effettuare progressivamente una vera “rotazione” a 180° verso di lui. Ecco perché il cammino per l’acquisizione dell’identità sessuale, una volta completato quello dell’autocoscienza, è decisamente più lungo e complesso per il maschio che non per la femmina. Un qualunque grave elemento di disturbo – mancanza non compensata del modello paterno, errori educativi pesanti, traumi psichici…- che subentrasse durante lo svolgimento di questa prima fase delicata nel maschietto potrebbe causare un arresto del processo, con conseguente compromissione dell’identità sessuale del soggetto.
Questo spiega anche perché l’omosessualità maschile sia sempre stata relativamente più frequente di quella femminile (attualmente,circa il 5% della popolazione). Tuttavia va detto che oggi anche quella femminile registra un certo incremento, per il progressivo venir meno della figura materna, a causa del maggior impegno della donna in carriera.” (Leda Fiorillo)
Viene tanto attaccata la Chiesa perché rigetta l’omosessualità, ma lo fa semplicemente perché non si tratta di vera sessualità. Dire omosessualità è come dire “cerchio quadrato” (R.Casadei): se i due hanno lo stesso sesso, viene meno l’ordinazione reciproca dei due sessi.
Se la sessualità non è aperta alla fecondità, di cosa si sta parlando? Se si prende in mano un qualunque manuale di zoologia, si scopre che la sessualità è legata alla questione della fecondità, della procreazione. E questo è importante anche per coloro che vengono definiti omosessuali, chiamati a prendere coscienza che il loro desiderio non è propriamente sessuale. Essi in realtà fanno un uso non sessuale delle loro parti sessuali. Non sono necessariamente atti sessuali tutti gli atti che io posso fare con le mie parti sessuali.
Certo è che un tempo l’omosessualità veniva considerata una deviazione innata, dovuta a qualche fattore biologico, quindi congenita e cioè incurabile. Pertanto veniva vissuta dagli interessati con un profondo senso di frustrazione, in quanto condizione priva di speranza. A tutto ciò andava a sommarsi poi la più o meno esplicita condanna da parte della società, o quanto meno una generalizzata mancanza di comprensione.
Poi, col tempo, le cose hanno cominciato a cambiare. Con il processo di liberalizzazione del sesso – prima considerato un tabù - e l’affermarsi di ideologie sempre più fondate sulla mancanza di certezze, si è progressivamente dato sempre più spazio e autorevolezza a interpretazioni personali e soggettive. Mandato in crisi il paradigma dell’esistenza di una natura umana, si è cominciato a guardare alle sue varianti – almeno, ad alcune di esse - non più in termini di patologie, ma di stati alternativi ugualmente validi. A questo va aggiunta il sempre più convinto rifiuto di ogni sorta di discriminazione. Si è giunti così ad un ribaltamento culturale pressoché radicale, per cui oggi si guarda all’omosessualità e alla sua accettazione in modo molto più sereno, se non addirittura come a un fatto naturale.
Tuttavia, in questo nuovo modo di vedere le cose, apparentemente logico e coerente, insieme ad aspetti senz’altro positivi, si nascondono degli errori che possono portare ad una grande confusione di fondo.
Bisogna mettere in luce quello che è un primo errore di fondo molto diffuso: cioè il considerare la tendenza omosessuale come una “condizione” congenita, e quindi incurabile, contrariamente a quanto gli studi scientifici, invece, evidenziano.
Molti di noi inoltre penso sappia che c’è differenza tra la tendenza omosessuale e il comportamento omosessuale. La prima è un impulso, un’inclinazione spontanea più o meno forte, generalmente indipendente dalla volontà del soggetto e che pertanto non implica il più delle volte una diretta responsabilità personale; invece il secondo presuppone il consenso della volontà, atto ad assecondare fattivamente l’impulso stesso. E’ chiaro che in questo caso, essendo chiamata in campo la volontà, al soggetto spetti la piena responsabilità del proprio comportamento.
Anche su questo punto, purtroppo, c’è confusione nella mentalità corrente, portata invece ad identificare tout court la tendenza con il comportamento omosessuale; nel senso che chiunque “senta” la prima, “viva” ineluttabilmente il secondo, visto anzi come l’unica risposta coerente con la propria condizione. E non è così.
C’è infatti una categoria di omosessuali che uno psicologo definisce omosessuali non-gay, cioè persone omosessuali ma che non condividono lo stile di vita dei gay, nel senso che, invece di praticare la loro tendenza – come fanno appunto i gay - cercano di superarla. Sono persone che, invece di impegnarsi in una lotta aperta contro la società per il riconoscimento di uno stile di vita in accordo con la loro tendenza, portano avanti in silenzio una lotta sofferta contro la tendenza stessa, percepita come un ostacolo alla propria realizzazione integrale.
Però, ora che la società, come si diceva, sta ribaltando il suo atteggiamento in merito al problema, arrivando a considerare l’omosessualità come una condizione normale al pari dell’eterosessualità, lo sforzo portato avanti da queste persone appare come un non-senso.
Inoltre, se è vero, come gli studi dimostrano, che l’origine dell’omosessualità risiede sostanzialmente in fattori psicologici, è facile prevedere che questa condizione sia destinata ad aumentare continuamente sotto il nuovo influsso culturale della società attuale.
Alle categorie di omosessuali veri, si deve aggiungere poi quella di chi, pur non avendo alcuna tendenza omosessuale, tuttavia si comporta da tale per scelta personale, considerandola un’opzione come un’altra, sotto la forte spinta della mentalità edonistica attuale.
”Al proposito va ricordato che il piacere corporeo non ha in sé stesso la possibilità di un’autoregolazione, che compete invece alla sfera razionale (v. L’essere umano). Pertanto, una volta abdicato ad essa, il piacere perseguito come fine a sé stesso schiavizza il soggetto, portandolo a ricercarne sempre di più; non è allora un caso, purtroppo, se spesso alle pratiche ad esso finalizzate, e nelle quali l’altro venga usato solo come un oggetto, si possa poi accompagnare anche ogni sorta di violenza.
Ora, alle pratiche omosessuali, di piacere se ne accompagna indubbiamente molto.
Ma, nonostante l’auto-denominazione di “gay”, che significa gioioso, la vera gioia del cuore è tutta un’altra cosa! A parte il fatto che, trattandosi di qualcosa di molto intimo, chi la sperimenta sul serio non sente il bisogno di proclamarla a parole, qui si vive invece, a causa della condizione distonica, uno stato di sofferenza molto profonda, assimilabile alle nevrosi, non suscettibile di essere lenita da nessun ribaltamento della mentalità corrente. Non è infatti negando il problema che si può aiutare a risolverlo”.(Leda Fiorillo).
Pertanto, è proprio per il grande rispetto che si deve sempre alla persona, in quanto tale, che non è ammissibile equivocare in ambiti di così vitale e delicata importanza, in cui viene messa in gioco la dignità e la felicità della persona stessa.
Offrire, con garbo e riverenza, ma pur sempre nel pieno rispetto della libertà individuale, un aiuto qualificato per il recupero dell’integrità personale – più possibile laddove la tendenza non sia stata troppo fissata dal comportamento – è la più alta manifestazione d’amore verso chi si trova a vivere una condizione tanto difficile.
IL PROBLMA DA UN PIANO PURAMENTE BIOLOGICO:
”Si è già visto a suo tempo che la determinazione del sesso dipende dai cromosomi X e Y, nel senso che la presenza di due cromosomi X determina il sesso femminile, mentre la presenza di una X e una Y determina quello maschile. Da questo corredo cromosomico dipendono direttamente quelli che vengono detti caratteri sessuali primari, cioè gli apparati genitali maschili o femminili, interni – tra cui le gonadi: testicoli o ovaie – ed esterni. Indirettamente dipendono inoltre i cosiddetti caratteri sessuali secondari, perché indotti dagli ormoni sessuali che a loro volta sono secreti dalle gonadi, a partire dalla pubertà. Ora, come pure si è già visto, i cromosomi del sesso sono presenti in tutte le cellule del corpo; ma poiché la parte corporea e quella psicologica sono intrinsecamente unite, ne deriva che il sesso è iscritto anche nella psiche.
Normalmente questi tre livelli del sesso, due fisici – cromosomico e ormonale – e uno psichico, sono sintonici e quindi armonici. Se invece si presenta una distonia, è ovvio supporre che tre siano le possibili cause a monte: o un fattore cromosomico anomalo, o una disfunzione ormonale o una turba psichica.
Cominciamo dall’analisi dei possibili fattori fisici.
Esistono anomalie cromosomiche sessuali - le uniche congenite e pertanto incurabili - nel senso di corredi cromosomici del tipo XXX o X per la femmina, XXY o XYY per il maschio; tutte anomalie che danno luogo a sindromi, cioè a complessi di patologie varie, ma i cui portatori non presentano tendenze omosessuali. Viceversa, persone con chiare tendenze omosessuali possiedono il normale corredo cromosomico maschile o femminile. Gli studi effettuati in questo campo portano quindi ad escludere un’origine cromosomica e quindi genetica, cioè congenita, dell’omosessualità, contrariamente a quanto diffusamente si crede. Il massimo che alcuni studiosi arrivano a ipotizzare è che il fattore genetico potrebbe in qualche modo agire unicamente come elemento predisponente, ma di per sé del tutto insufficiente a produrre la tendenza omosessuale.
L’altro fattore fisico dovrebbe essere uno squilibrio ormonale sessuale; questo non sarebbe comunque un elemento congenito ma funzionale, pertanto curabile con adeguati trattamenti ormonali. Ma anche qui gli studi dimostrano che persone omosessuali hanno un normale equilibrio ormonale e viceversa, soggetti che presentano alterazioni dell’equilibrio ormonale sessuale non dimostrano affatto di avere tendenze omosessuali.
Pertanto risultano scientificamente da escludersi, come determinanti, entrambi i fattori fisici. Non rimangono in gioco, quindi, che i fattori psichici: fattori acquisiti e curabili con la psicoterapia. Mettiamoli a fuoco.
Si è visto, a suo tempo, come il genitore dello stesso sesso sia indispensabile per il processo dell’”identificazione sessuale” del figlio. Ora, tale processo si compie in modo assai più lineare nelle femmine che non nei maschi.
Al proposito gli psicologi insegnano che all’inizio della sua vita, nella fase di lattante, il bambino, sia esso maschio o femmina, non percepisce la madre come “altri da sé”: mamma e figlio vivono infatti una fase di simbiosi, in cui il piccolo non si rende conto di dove finisce lui e dove cominci la madre, essendo per lui, i due, una cosa sola. Ed in questa fase è giusto che sia così.
Ma se questa condizione dovesse perdurare oltre misura nel tempo, diventerebbe patologica per il figlio. Sarà allora la figura paterna che, interponendosi dolcemente fra mamma e bambino una volta cessato il periodo dell’allattamento, aiuterà il piccolo, staccato dalla simbiosi materna, a prendere coscienza di sé come persona diversa e distinta dalla madre; ad acquisire cioè quella che viene definita l’“autocoscienza” – emerge così anche un nuovo ruolo insostituibile della figura paterna, dopo quello già svolto all’inizio -.
Ma non basta: occorre innescare ora il processo di identificazione sessuale. Durante tutto l’allattamento entrambi, sia il maschietto che la femminuccia, erano stati naturalmente rivolti verso la madre, fonte di vita per loro. Ora, se il bimbo è femmina, il suo modello per l’acquisizione della sua identità sessuale continuerà ad essere comunque la madre; ma se è maschio, per prendere a modello il padre, il bimbo dovrà effettuare progressivamente una vera “rotazione” a 180° verso di lui. Ecco perché il cammino per l’acquisizione dell’identità sessuale, una volta completato quello dell’autocoscienza, è decisamente più lungo e complesso per il maschio che non per la femmina. Un qualunque grave elemento di disturbo – mancanza non compensata del modello paterno, errori educativi pesanti, traumi psichici…- che subentrasse durante lo svolgimento di questa prima fase delicata nel maschietto potrebbe causare un arresto del processo, con conseguente compromissione dell’identità sessuale del soggetto.
Questo spiega anche perché l’omosessualità maschile sia sempre stata relativamente più frequente di quella femminile (attualmente,circa il 5% della popolazione). Tuttavia va detto che oggi anche quella femminile registra un certo incremento, per il progressivo venir meno della figura materna, a causa del maggior impegno della donna in carriera.” (Leda Fiorillo)
Trovo giusto interessarsi a questo universo, come è giusto che se ne parli, sempre di più.
RispondiEliminaTrovo coraggioso scriverne per lenire un domanda che non trova risposta.
L'autore Cristofari affronta attingendo dalle sue esperienze di vita per approfondire questa tematica che più gli si confà.
"Ora, alle pratiche omosessuali, di piacere se ne accompagna indubbiamente molto".
Lo trovo onorabile, e sinceramente avvincente.
Sono certo che troverà la pace interiore anche con il tuo lato che lei cerca di esaltare meno.
Buon natale e sii felice, nonostante il giudizio degli altri.
Un vecchio anonimo, e poco laico, amico
ciao anonimo...
RispondiEliminaperchè nn mi mandi una mail, visto che dici che ci conosciamo?!